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L’Irpinia risponde alla richiesta di aiuto del popolo palestinese

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Si è chiuso ieri a Sant’Andrea di Conza il “tour” in Irpinia di Francesca Albanese, relatrice speciale delle Nazioni Unite sui territori palestinesi occupati

Come nelle date precedenti, di Avellino, Gesualdo ed Ariano Irpino, l’accoglienza è stata molto calorosa e consistente. Era da un po’ di tempo che in Irpinia non si assisteva ad una partecipazione così sentita per quella che solo formalmente è la presentazione di un libro, ma che nei fatti è la condivisione di una proposta di decolonizzazione dei territori palestinesi martoriati. Tante le persone provenienti da tutta la provincia, e non solo, e viene da chiedersi se non si possa partire da qui per immaginare la nascita di una nuova coscienza collettiva, che attraversi quelle aree  interne “destinate a sparire” e lasciate al loro destino da questo Governo.

La stessa Albanese dichiara di aver scelto volutamente le tappe irpine per la presentazione del suo libro, immaginando che potessero diventare vetrina per luoghi che lei ama, essendo originaria di Ariano Irpino. Ad esaltare le potenzialità delle famose “aree interne” c’è anche Luisa Morgantini, ex vicepresidente del Parlamento Europeo, nonché Presidente dell’Associazione AssoPacePalestina, che ricorda la sua esperienza post terremoto a Teora, esaltando le doti si una popolazione locale resiliente e reattiva. L’incontro di ieri diventa occasione per ribadire alcuni concetti che si sono fatti via via sempre più chiari e dirompenti, visto anche l’ultimo proclamo di Netanyahu, di voler procedere all’occupazione totale di Gaza.

Quello che Francesca Albanese chiede a gran voce, facendosi mezzo di una protesta (in tutti gli incontri ha ribadito che il sostegno non deve essere a lei, come persona, ma alla causa palestinese) è che si proceda ad una decolonizzazione dei territori palestinesi. Non è ipotizzabile (e secondo Moni Ovadia, ospite dell’incontro, è ipocrita) il riconoscimento di due popoli e due stati, in un territorio usurpato ai palestinesi, in cui i sionisti hanno fatto scempio di ogni diritto e della dignità di un popolo.

L’occidente dovrebbe, una volta per sempre, riconoscere di essere la mano di cui Netanyahu è solo il dito che spinge i bottoni. Sia Moni Ovadia che Omar Suleiman, rappresentante della comunità palestinese, dicono a gran voce che il problema non è Netanyahu, il problema è rilasente nel tempo ed è legato allo sfrenato colonialismo dell’occidente, che è complice del genocidio e che perpetra il silenzio rispetto ad una dramma della stessa portata dell’olocausto, spesso usato come scusa per consentite a i sionisti di portare a termine la cancellazione di un popolo.

Le parole contano, lo ha detto in ogni incontro la Albanese. Dobbiamo chiamare le cose con il loro nome ed assumerci la responsabilità delle nostre scelte. Così invoca, ad esempio, l’interruzione dei rapporti intrapresi dal comune di Lioni con società legate ad Israele. Bisogna fare scelte quotidiane rispetto ad un paese che sta commettendo crimini internazionali, rimanendo impunito.

Commovente l’intervento di Omar Suleiman, che lascia tutti in lacrime, compresa la Albanese e che ci ricorda che i bambini palestinesi sognano la normalità o invocano addirittura la morte quando sono costretti a subire un intervento chirurgico senza anestesia.

Finiti gli incontri con la Albanese viene da chiedersi cosa rimarrà di questa “coscienza Irpina” che finalmente è sembrata reattiva e non dormiente. Abbracciare la causa di un popolo oppresso può in qualche modo significare anche dare speranza ad un territorio?Lamobilitazione rimarrà di facciata, per pulirsi un po’ la coscienza, o riguarderà i tanti aspetti di questo “mondo inumano” contro il quale Ovadia e l’Albanese chiedono di ribellarsi?

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