In molti paesi della nostra Irpinia era ed è ancora diffusa la pratica di uccidere il maiale dopo averlo allevato con cura
È un rito legato alla tradizione contadina che affonda le origini in un passato lontano, quando uccidere il maiale significava avere da mangiare per tutto l’anno. Infatti si dice che “del maiale non si butta via niente” perché ogni sua parte serviva a sfamare un’intera famiglia. Oltre ad avere una riserva di carne fresca, vengono prodotti diversi insaccati come il prosciutto, le salsicce, il culatello, la pancetta, il capocollo.
Con il grasso si ottiene lo strutto, fondamentale per ammorbidire i dolci e insaporire pizze e focacce. Anche il sangue del maiale, unito al cioccolato fondente, viene utilizzato dalle massaie per la preparazione di una particolare crostata.
Solitamente è da metà gennaio in poi che “s’accire o’ puorco” (si ammazza il maiale), perché le temperature sono più rigide e la carne del maiale può essere lavorata e conservata meglio. Questa consuetudine era, ed è, un rituale culturale e sociale: si riceve un invito da parte del proprietario dell’animale a partecipare a questo evento.
È un’occasione in Irpinia, ma non solo di aggregazione e socializzazione: si riuniscono parenti, amici e vicinato e il tutto si conclude con un lauto pranzo, per il quale si usano le carni del maiale appena ucciso.
Un piatto immancabile è “carne e pepauli”, ovvero carne con peperoni e aggiunta di patate.
Di seguito vi descriviamo in breve la ricetta dell’Irpinia:
Si fa soffriggere la cipolla nello strutto, la si toglie e si aggiunge la carne di maiale, capocollo. Si aggiungono foglie di alloro e la si fa cuocere per due ore a fuoco lento. Solo alla fine si aggiungono i peperoni, precedentemente imbevuti nell’aceto, e le patate. La cottura va ultimata per altri 15 minuti circa.
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